venerdì 29 ottobre 2010

Telemaco writer

Mentre Penelope si perde nei suoi ricordi e pensieri Telemaco ha già sceso le scale dal suo appartamento al piano terra. Sul marciapiede ci sono già il Branda e Alì. Il primo a parlare è Alì “Cattaneo non ha potuto venire, i suoi l’hanno tenuto in casa a studiare per la verifica di domani”. “che palle, il Cattaneo non c’ha i coglioni. Io i miei li avrei mandati a ‘ffanculo”. A parlare era stato il Branda con la bottiglia della Heniken aperta in mano. Il Branda è uno tosto ma anche un grande con gli amici. Dice così perché lui al Cattaneo ci tiene, perché il Cattaneo è il più bravo di tutti loro a fare disegni sui muri, perché se sono capaci di fare graffiti sui muri è merito suo. L’escrescenza sul naso del Branda è più rossa del solito, segno che è proprio incazzato nero. Quell’escrescenza è il ricordo di un piercing casalingo andato a male. Non aveva disinfettato a dovere e si era formata una palla di pus. La cicatrice rimasta è quel bubbone tondo come un arachide sulla narice sinistra. E quando il Brande è incazzato il bubbone diventa rosso. E i suoi amici guardando l’escrescenza e dalla tonalità di rosso capiscono quanto lui sia arrabbiato. Adesso è quasi viola.
Sono settimane che hanno organizzato questa trasferta in viale Monte Ceneri per il loro primo lavoro importante. Così lo chiamano loro. Fino ad oggi si sono divertiti a scrivere con pennarelli e spray il loro nome d’arte su muri e saracinesche: “i quattro caballeros”. “Mi è sempre piaciuto il film della Walt Disney” aveva detto il Cattaneo che sotto i capelli rasta era rimasto un bambinone. E siccome loro erano quattro i tre Caballeros erano diventati quattro. Hanno fatto tanti di quei sopraluoghi e prove da sfinirsi. per via di un piercing fatto male che gli aveva fatto infezioni. Ora
Ha quello strano identificativo al naso; nessuno potrebbe pensare al Branda senza pensare al bubbone sul suo naso.
Il fatto è che avevano deciso il posto del loro primo lavoro dopo sei giri di ricognizione in viale Monte Ceneri. Per il progetto il Cattaneo aveva già un’idea. A lui piacevano i murales alla Jacovitti. Così diceva. “Sì alla Jacovitti, macabri però” replicavano i tre Caballeros rimanenti. Persone che sembrano impegnate in attività quotidiane innocue, con i visi da persone comuni, ma che in realtà stavano sgozzando frustando bambini, violentando donne, scuoiando ragazzini. Lui lì chiamava murales di denuncia “perché dobbiamo far aprire gli occhi alla gente” affermava il Branda con la sua aria da profeta new age. Così aveva buttato giù il bozzetto: casette quadrate con giardinetti pettinati, fiorellini rotondi e alberi nuvoletta; all’interno di quelle casette (magari nell’apertura di una finestra spalancata) o sui prati con laghetti e paperette scene di sopraffazione e violenza. Gli attori di queste scene personaggi dai visi rotondi, paffuti con sorrisi a semicerchio sulla faccia. Aveva scelto anche i colori: verdi brillanti, rossi intensi, blu oltremare, rosa baby eccetera. Il risultato era un pugno nello stomaco. Sotto la scritta“they don’t really care about us”. La canzone di Michael Jackson era la colonna sonora del loro gruppo. Se l’erano passata da ipod a ipod e quando avevano realizzato le prime scritte (il Cattaneo disegnava i contorni e Telemaco, Alì e il Branda riempivano di colore) si erano ficcati quella canzone nelle orecchie. Del resto la frase che avevano scelto per le loro prime scritte sui muri era proprio “they don’t really care about us”, firmato ‘i quattro caballeros’.

mercoledì 27 ottobre 2010

UN MARE DI RICORDI

Nausicaa guardò lo schermo e non sentiva più nulla. Silenzio radio, silenzio trasmissioni audio, silenzio eterno. “Ma cosa fai lì impalata?” la madre le scuoteva il braccio e Nausicaa non le rispondeva; “Allora è lui o non è lui?”. Sua madre rideva maliziosa con le sue amiche, di quella malizia da adolescenti avvizzite. Indecente. Ridevano, ma lei non sentiva le loro risate. Vedeva solo le loro labbra stese da un angolo all’altro della faccia, i denti in mostra e gli occhi strizzati. Sua madre stava dicendo qualcosa, qualcosa di buffo sicuramente, perché le sue amiche ridevano. Anzi aveva sicuramente detto qualcosa di spiritoso su di lei, Nausicaa, perché le donna ridevano e la guardavano. Poi la voce era tornata a farsi udire dalle sue orecchie “Nausicaa, racconta di quando quell’uomo diceva di essere stato persino nella terra del fuoco? Ah che racconta frottole che era. Però era un affascinante narratore”. “Mamma, piantala” Nausicaa non era in vena di scherzi.
Lei si era innamorata di quell’uomo, un paio d’anni prima. E aveva creduto di poter scappare con lui nei paesi del Nord, dell’estremo nord d’Europa. Anzi l’avevano persino programmato e organizzato con tanto di dettagli: giorno, ora di partenza, modo di viaggio, tappe e altro. Poi un giorno lui non le aveva risposto più al cellulare. La stanza che occupava al residence dove soggiornava era libera e vuota. E non aveva lasciato detto dove era andato. Ed erano passati due anni. Ed ora, quel volto sulla schermo del televisore, così, esposto a tradimento l’aveva fatta vergognare. Uno schiaffo. Perché Nausicaa non lo aveva dimenticato, no, non lo aveva dimenticato. E un rancore sordo le cresceva dentro. “Mamma, piantala” aveva ripetuto Nausicaa a sua madre, questa volta urlandoglielo in faccia, gli occhi pieni di lacrime e il collo teso in avanti. Una furia. E si era precipitata in camera chiudendo a chiave. Era agitata, anzi agitatissima. Si infilò di corsa le scarpe da tennis un maglione qualsiasi sulle spalle e correndo aveva attraversato il corridoio, raggiunto le scale e sbattuto con forza la porta di casa. Fuori, fuori. Doveva calmarsi.